Il professor Guerrieri e la favola dell'American Eagle


Questa è la grande storia di una piccola squadra di provincia, l'American Eagle Vigevano. Ed è anche una delle innumerevoli storie scritte da Dido Guerrieri, l'uomo che guidò quella squadra lungo un campionato di appassionante e straordinaria normalità. A Vigevano va in scena la partita delle stelle del basket di LegaDue e Guerrieri, il Professore, se ne è appena andato. Aveva 81 anni. Era un personaggio Guerrieri; uomo dedito ai classici e moderno insieme, precursore convinto degli abbinamenti alto/basso, sapeva rischiare e azzardare contaminazioni tra campi diversi, la cultura e lo sport. Leggere il Taccuino, la sua rubrica sul settimanale Superbasket, negli anni del mio liceo era uno dei piaceri della vita. Perché la vita Guerrieri, con tocco lieve, sapeva farla scorrere dentro quella paginetta in fondo alla rivista.

Nel nuovo palasport di Vigevano, teatro dell'All Star Game, Dido Guerrieri non è mai entrato. Per due stagioni, invece, visse quotidianamente la palestra Carducci. E nel campionato 1982-1983 fu allenatore dell'anno in A2 perché si inventò di sana pianta una squadra. Insieme, lui e i suoi giocatori, stupirono tutto il movimento: 7 vittorie consecutive all'inizio e un bilancio finale di 15 successi e 15 sconfitte, la salvezza all'ottavo posto. L'American Eagle di Guerrieri fu un capolavoro di austerità. Non c'erano soldi a Vigevano e la serie A2 era un campionato spaventosamente competitivo: c'erano Siena, Treviso, Caserta, Reggio Emilia, Brindisi, Napoli, Livorno, Forlì, Ferrara, Rimini, Roseto e Udine. E c'era Bergamo che surclassò tutti con Chuck Jura, che era stato giocatore di Guerrieri e che nella serie A di oggi partirebbe in quintetto in tutte le formazioni.

Il professor Guerrieri fece con quello che aveva. Fu la prima grande lezione che impartì. La squadra cominciava da Jim Thomas, una guardia ex Pesaro non più di primo pelo, cui quell'anno toccò segnare spesso 30 punti catturando anche un mucchio di rimbalzi. Perché Kevin Ross era un fenicottero prestato al ruolo di lungo ed Ernesto Cima un pivot vecchia scuola che faticava un mondo contro l'atleticità portata dagli americani. Di fianco a Thomas, Guerrieri schierava una guardia che veniva dalla C, tale Giorgio Claudio: quell'anno sembrò la contemporanea incarnazione dei gemelli Boselli. Poi Claudio Polloni che il Professore volle con sé dopo averlo visto ragazzino nella sua Pallacanestro Milano, il club con il quale anni prima aveva guardato dritto negli occhi quelli dell'Olympia. Il play era un allampanato ragazzotto di due metri, Carlo Della Valle, figlio di marchesi dell'astigiano.

Nell'era dei piccoletti, il regista di due metri era pura rivoluzione. Infatti Guerrieri lo portò a Torino fin dall'anno successivo a giocare tre semifinali scudetto di fila - dal 1984 al 1986 - sempre perdendo contro le squadre (una volta la Virtus Bologna e due volte Milano) che avrebbero vinto il titolo. Di Guerrieri ricordo lo stile, la signorilità e lo spessore. Avvicinarlo e parlargli con biro e notes era una sfida: prima di tutto dovevi interessarlo con le domande. Negli anni Ottanta tenevo una rubrica per Radio Pavia: quando A1 e A2 cominciavano i play off, la mattina seguente chiamavo i coach.

Li intervistavo a commento del turno di campionato. La LegaBasket distribuiva una preziosa guida con i recapiti telefonici dei tecnici. Per chiamare a casa o in sede. I cellulari non c'erano ancora. Guerrieri allenava a Roma, erano le 9 del mattino. Mi presentai e seguì un lungo silenzio prima del raggelante: "Visto che c'è, si accomodi". Poi riuscii a scioglierlo e lo considerai un piccolo successo personale. Un'altra volta Gerrieri lo sentii dire che non capiva i giocatori che si sentivano umiliati dopo aver subito una stoppata. "E' solo un tiro sbagliato _ disse con la voce dei maestri severi di un tempo _ e i miei giocatori dovrebbero preoccuparsi allo stesso modo di tutti le cose che sbagliano". (su Twitter @stepallaroni)